STREGATI DALLA MALATTIA, DIMENTICHIAMO DI COLTIVARE LA VITA

Stregati dalla malattia, dimentichiamo la vita. Liberarsi dalla malattia è diventata una pratica così pregnante rispetto alla nostra vita che ci dimentichiamo di coltivare la vita e il vivere. Eh si, perché coltivare la vita e vivere è qualcosa di molto diverso dal rendersi e mantenersi liberi dalle malattie. Siamo costantemente attratti dai difetti e dalle imperfezioni, siano essi fisici o psichici, individuali o collettivi. C’è chi vive per liberare se stesso e chi vive per liberare la società.

Entrambe queste categorie di persone sono stregate dalla malattia.

E la vita e il vivere come una piantina di cui nessuno si cura rischiano di appassire.

IL FASCINO DI ESSERE STREGATI DALLA MALATTIA

Le malattie sono affascinanti. Le sirene cercavano di attrarre Ulisse durante il viaggio di ritorno ad Itaca, così la malattia, con le sue sirene, cerca di tenerci legati ad essa. Come persone siamo stregati dai sintomi e dalla battaglia contro di essi. Come medici, scienziati, esperti siamo stregati dai meccanismi delle malattie e dal fatto che combatterle è come un gioco, a cui non riesci più a rinunciare.

IL SINTOMO DELLA MALATTIA

Il sintomo è qualcosa che ci accade.

A volte, il sintomo arriva come un fulmine a ciel sereno. Rapisce la nostra attenzione completamente. Un istante prima siamo liberi, siamo noi, un istante dopo siamo conquistati, siamo lui.

Altre volte, invece, il sintomo avanza piano piano, come un astuto stratega. Conquista a poco a poco la nostra attenzione. Così quando qualcuno ci domanda da quando ne soffriamo, la risposta più sensata sembra “da sempre”. Quel che conta è che di nuovo noi siamo il sintomo e il sintomo è noi. O lui se ne va o noi non saremo più noi stessi.

Ogni nostra azione, ogni nostro pensiero saranno tesi a liberarci di lui.

A questo punto ci sono due possibili evoluzioni. La prima è che il sintomo sia così forte per cui tutto quello che desideriamo è non averlo. La seconda è che il sintomo sia così inspiegabile per cui tutto quello di cui abbiamo bisogno è una spiegazione. Nel primo caso una parola conquista la nostra testa è “toglietemelo!”. Nel secondo è più un’espressione “ditemi che cosa ho!”.

È così che nel primo caso cerchiamo una terapia e un terapista, nel secondo una diagnosi e uno scienziato che ce la faccia. Nel primo caso vogliamo che qualcuno ci faccia qualcosa, nel secondo che qualcuno ci dica qualcosa.

SFIDARE LA MALATTIA

La sfida è tutta un’altra cosa. E’ vissuta da una posizione completamente diversa, la posizione del medico, della medicina.

La posizione del bene che si sente sfidato dal male.

Provate a mettervi nei panni del bene. Come si sente quando viene sfidato dal male?

Il bene è amorevole, generoso, sopporta, assorbe, accoglie, gestisce, contiene, trattiene. Poi, un giorno, si rende conto che il suo candore è stato imbrattato. Una piccola macchia nera sciupa il candore del bene e lo minaccia. Così il bene prova di spazzolarsi, ma non si tratta di un granello di polvere.

È un errore, intrinseco alla trama del bene. Più il bene si scuote più la macchiolina si ingrandisce. Non c’è modo di liberarsene. Il bene si arrabbia, il bene si sforza, il bene si pulisce, il bene si controlla, il bene urla, il bene sbraita, il bene piange, il bene … chiede aiuto. Ma la macchiolina rimane sempre lì. Talvolta cresce, talaltra rimane semplicemente lì. E da quel momento in poi il bene è sciupato, per sempre.

Come una tovaglia bianca, stesa su un bel tavolo. Candida, appena lavata e stirata. Profuma di pulito. Una goccia indelebile. Non si può lavare via. La tovaglia non potrà più essere candida come prima. La goccia è molto piccola. Quasi non si nota. Ma la tovaglia non sarà più candida. Mai più.

MA LA VITA NON SI BUTTA

Il problema è che la tovaglia si può buttare. La vita no.

Quando dentro il corpo umano il male imbratta il bene, non si può buttare il corpo umano.

Se si butta il male il bene gli andrà dietro. Se si butta la vita, seguirà la morte.

UN GIOCO “TROPPO” INTRIGANTE

E così questa è la sfida. Il gioco più intrigante del mondo.

La posta in gioco è la vita, le parti del corpo, le cellule del corpo. Ad ogni giocata sul piatto vengono messe cellule, tessuti ed organi.

Vedere la strategia del male, richiede una puntata. Per un essere umano in cui la vista è il senso dominante, cercare di vedere è qualcosa per cui si è disposti a tutto. Così, se non si sta attenti, ci si ritrova ad aver messo sul piatto la vita intera. Il tutto solo per vedere e svelare la strategia del male. E non ci si rende conto che non è rimasta più vita da vivere.

La malattia è riuscita di nuovo nel suo intento.

GUARDIANI DELLA VITA STREGATI DALLA MALATTIA

I guardiani della vita, nei loro camici bianchi, sono letteralmente stregati dalla malattia. Naturalmente con le migliori intenzioni.

Questo accade in tutti gli ambiti. Quando il problema è fisico sono i medici ad essere stregati dalla malattia, quando è psicologico gli psicologi, quando è spirituale i preti. Indossare un camice bianco rende molto sensibili alle macchie nere.

COSA C’E’ DI MALE AD ESSERE STREGATI DALLA MALATTIA?

Qualcuno potrebbe domandarsi a questo punto cosa ci sia di male nel cercare di liberarsi dalle macchie nere. Essere stregati dalla malattia è importante. Solo così si rimarrà focalizzati sul problema e si impiegheranno tutte le proprie energie nel cercare di debellare la malattia stessa.

Vero. Se non fosse che quando si è stregati dalla malattia a volte si finisce per giocarsi la vita pur di liberarsene. La propria o quella degli altri.

Come uscire dal gioco?

LA COLTIVAZIONE DI SE’ + CURA DELLA MALATTIA

La coltivazione di sé è un’espressione antica. Presente nelle culture del passato unisce il mondo: da est a ovest, da nord a sud.

La prima volta che ne sentii parlare fu per bocca di un maestro di Tai Chi. In quel giorno questa espressione entrò nella mia testa e si adagiò per sempre accanto ad un’altra espressione che da tempo giaceva lì, sola soletta: la cura della malattia.

Coltivazione di sé + cura della malattia.

Come persona vivevo nell’illusione che stare bene significasse non stare male. Come medico vivevo nell’illusione che le persone possono stare bene solo quando hanno prima smesso di stare male.

Così mi ritrovavo volontariamente stregato dalla malattia. Dedicavo tutta la mia vita alla mia malattia e alla malattia degli altri. Lasciavo passare gli anni in attesa che la malattia fosse sconfitta e finalmente potesse spontaneamente sbocciare la vita. Ma il tempo passava e né io né gli altri sembravamo essere meno malati. E questo finiva per ammalarmi sempre di più.

E io ero sempre più stregato dalla malattia.

 

LA COLTIVAZIONE E’ UN’AZIONE QUOTIDIANA

Quel giorno tutto è cambiato. Il sole non tramonta senza che io abbia coltivato la vita. Gli incontri con i pazienti non si chiudono senza che io abbia instillato in loro la percezione che accanto alla cura della malattia c’è una pratica altrettanto importante: la coltivazione della vita.

L’incantesimo è sciolto.

Abbiamo la possibilità di cessare di essere stregati dalla malattia.

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